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Città Sant'Angelo (PE)

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Città Sant'Angelo ha incerte le sue più remote origini e, per molteplici ragioni, priva di fondamento l’identificazione dell’attuale città con la mitica Angulus-Angulum vestina, così come proposta da alcuni storiografi locali per semplice affinità di nome (da Angulum ad Angelum) o ancora per la particolare topologia del luogo (Angulus: parte ritirata, sito remoto ed angusto).
Con ogni probabilità, tra le cinque municipalità vestine - Aveiates, Peltuinates, Aufinates, Pinnensis, Angulani - quella espressa dagli Angulani (Plinio: Naturalis Historia, II, 12.106) si costituì come vasta comunità - dedita alla coltivazione della vite ed allo sfruttamento delle saline - che abitò in diversi pagi (villaggi) diffusi sul territorio trasmontano della Regio IV, senza mai aggregarsi in un centro urbanizzato prevalente ed egemone.
Ben significata, invece - sulla base di numerosi ritrovamenti archeologici e d’autorevoli prove documentarie - la mansione “ad Salinas”. Le vasche, utilizzate per il ciclo d’estrazione del sale dalle acque marine, erano dislocate tra la foce del Piomba (Matrinus) e quella del Saline (Salinum flumen); nell’antichità il prezioso prodotto di questi impianti - decantati da Plinio e segnati nella Tabula Peuntigeriana - giungeva a Roma attraverso un diverticolo che s’immetteva nella via consolare Salaria.
È da ipotizzare, piuttosto, che la prima isola abitativa, edificata tra il secolo VIII ed il IX nella parte più alta del colle (l’attuale rione Casale) sia stata consolidata ad opera di una colonia longobarda, che pose cura ad una più efficace fortificazione del luogo, munendolo di una cinta muraria ed emancipandolo così, da semplice borgo (Casale) che doveva essere, a Castrum (configurazione urbanistica perimetrata da mura difensive), come risulta da successivi rimandi documentali.
Ad avvalorare una simile supposizione intervengono, oltre alle considerazioni derivanti dall’esame delle superstiti cortine murarie che ancora cingono una parte del vecchio convento di Sant’Agostino: sia la devozione all’Arcangelo Michele, protettore ab antiquo della nostra città - culto introdotto e diffuso nell’Italia meridionale proprio dai Longobardi -, sia la persistenza del toponimo Grottone che ancor oggi denomina la via d’accesso al Casale ed induce la congettura sulla probabile esistenza in loco di una grotta; ed è noto come i Longobardi, pur convertiti al cristianesimo, per un residuo dei loro rituali pagani, connettessero la devozione per l’Arcangelo Guerriero alle grotte naturali ed alle acque sorgive.
Il vuoto di notizie che copre lunghi secoli di silenzio sulle origini e successive trasformazioni del Pagus vestino (o dei Pagi?), così come sulla sua plausibile sociale evoluzione storica, sembra interrompersi per due brevi citazioni che fanno riferimento alla nostra Città.
È, inoltre, doveroso precisare che sui documenti citati di seguito- soprattutto per le annotazioni che ci riguardano - la storiografia moderna ha avanzato più di un dubbio, ritenendoli per gran parte apocrifi o, quanto meno, pesantemente manipolati con l’intento di rivendicare benefici o attestare presunte concessioni.
Dal Privilegio di Ludovico II (13 0ttobre 875 ?), apprendiamo che alcune proprietà (Castellum S. Mori cum portu in Civitate S. Angeli) erano date in concessione dall’imperatore al monastero benedettino di Casauria, ed ancora dalle aggiunte alla cronaca casauriense (1166) possiamo dedurre l’esistenza di una Civitas S.ti Angeli dalla quale l’Abate Leonate ha facoltà di prelevare alcuni uomini per trasferirli in altro Castellaro di sua pertinenza.
Nella cartha convenientiae del 10 settembre 1148 (Cartulario del Monastero di Santa Maria; regesto di L.A. Antinori) è detta sede d’arbitrato per la controversia tra il vescovo di Penne Grimoaldo e l’Abate Berardo della Chiesa di S. Maria in Picciano: a quel tempo Civita Sancti Angeli risultava terra infeudata e possesso dei conti di Loreto.
Nell’anno 1239 per essere rimasta fedele al suo Signore - Berardo II Conte di Loreto di stirpe normanna - schierato con il Papato nella lotta contro l’Impero, fu distrutta da Boamondo Pissono, Giustiziere di Federico II.
L’anno successivo lo stesso imperatore, impietosito, concesse alla popolazione superstite di tornare ad abitare in tre casali e la Città fu riedificata, diventando sede d’importanti comunità religiose.
Nel 1284 la città inviò tre deputati ai Parlamenti del Regno convocati da Carlo I.
Carlo II (1304) le accordò il permesso di costruire una scafa (ponte mobile di zattere) sul Saline e di riattare il Porto, aggiungendo l’autorizzazione a costruire mulini e gualchiere (opifici per la fabbricazione dei feltri) col beneficio di sfruttare l’energia delle correnti fluviali.
Sotto il regno degli Angioini fu ceduta al Conte di Fiandra e Chieti, Filippo di Bethune; ma i demeriti del feudatario nel 1305 indussero la corte napoletana a rimettere la Città nel Regio demanio, dispensandola dai pesanti carichi feudali.
Nel 1341 l’Università di Civita Sancti Angeli, dopo essere stata scomunicata per aver causato violenta vessazione al protervo vescovo di Penne Nicola Tommasi, venne assolta dal Capitano Regio, Roberto della Rocca: “Absolvitur et in perpetuo absoltum”.
Nel 1350 fu assalita dai Pennesi; per dieci giorni perdurò la furia devastatrice degli aggressori, procurando rilevanti danni ai seminati ed al bestiame, la pace fu concordata con l’arbitrato del vescovo Tommasi ed il patto venne firmato a Città Sant’Angelo il 24 febbraio dello stesso anno.
Giovanna II riconfermò (1352) le concessioni precedenti accrescendoli della facoltà di poter eleggere il Capitano di Giustizia ed il Mastro Giurato e del diritto ad esercitare la pesca dalla Torre di Cerrano alla foce del Pescara.
Alcuni facoltosi cittadini chiedono ed ottengono dal Vescovo Ardinghelli di Penne di poter fondare in Collegiata la Chiesa di Città Sant’Angelo intitolata all’Arcangelo Michele (1353).
Giovanni Accoli, uomo caritatevole e generoso, alla sua morte lascia alla Chiesa di Città Sant’Angelo un cospicuo patrimonio vincolato alla fondazione di un Hospitale sub vucabulo S. Jhoannis. La pia istituzione, che all’inizio (1379) non era e non poteva essere più di un ricovero per mendici e pellegrini, in seguito per lodevole impegno del Dr Giuseppe Crognale divenne rinomato stabilimento di cura (1886).
Nel 1460 le truppe di Giacomo Piccinino diedero il sacco alla città, dopo averla tenuta in assedio per più di un mese: la resa avvenne su prudente consiglio di Giovanni Paduli che intese risparmiare alla cittadinanza – rimasta senza cibo e senza munizioni – più gravose e sterili sofferenze.
L’imperatore Carlo V la cedette (1519) a Guglielmo di Croy in cambio di Rocca Guglielma, ma nel 1524 fu acquistata per 15000 ducati, col titolo di Marchesato, da Ferdinando Castriota.
Nel 1568 Giovanna Castriota-Skanderbeg, duchessa di Nocera e Marchesa del luogo, si assicura la presenza nella città di una stabile dimora con relativo Collegio dei religiosi Gesuiti: s’intraprendono i lavori per edificare l’istituto, ma la povertà della contrada, il malanimo dei suoi abitanti e, non ultime, le non rispettate assegnazioni di contributi promessi dalla Marchesa, dopo cinque anni, costringono la Compagnia del Gesù ad abbandonare l’iniziativa.
Nel 1597 la città risulta venduta al conte di Celano, Alfonso Piccolomini e in seguito viene in possesso di Paris Pinello, banchiere romano, che a sua volta la trasferisce (1699) ai duchi Figliola per 13.000 ducati.
Nel 1779 Pio Coppa, seguace delle teorie liberistiche sostenute dal Genovesi, pubblica un opuscolo: “Sull’assicurare l’Annona senza proggiudicare la libertà del commercio dei grani”.
La città diventa capoluogo e sede della Milizia provinciale nell’anno 1798; vi si raccolgono i militi provenienti dai paesi del circondario.
Nel 1807 sostiene l’assalto di oltre settecento briganti guidati da Angelo dell’Orso di Cugnoli e Masciarello di Farindola: durante l’assedio un colpo d’archibugio di tal Nicolai, falegname angelese, uccide il dell’Orso, i briganti disorientati per la morte del loro capo tolsero l’assedio. Una pia leggenda ama attribuire la salvezza della città all’intervento miracoloso della Madonna del Rosario.
La città divenne centro della rivolta contro Gioacchino Murat nell’anno 1814 (marzo - aprile). L’insurrezione, che avrebbe dovuto vedere sollevarsi l’Abruzzo intero, fallì miseramente per il tradimento di un congiurato e, più ancora, perché numerose città, che pur avevano dato il loro assenso, rimasero quiete.
Insorse Città Sant’Angelo e si registrarono adesioni al moto a Penne, Castiglione M.R. e Penna Sant’Andrea; ma la rimostranza popolare venne spenta sollecitamente dalle truppe murattiane capeggiate dal generale Pepe, ed i capi rivoltosi furono imprigionati. Michelangelo Castagna, promotore della sommossa, riuscì a fuggire mentre era condotto a Penne per essere giudicato. Filippo la Noce ed il canonico Domenico Marulli non riuscirono ad evitare la pena capitale e furono fucilati a Penne: le loro teste barbaramente spiccate dai corpi vennero esposte, come monito macabro e crudelissimo, sulla Porta Sant’Angelo che sorgeva all’ingresso del paese.
La Nuova Costituzione viene proclamata a Napoli: Città Sant’Angelo esprime un pari del Regno, Mons. Michelangelo Pieramico, e due deputati Michelangelo Castagna e Francesco De Blasiis. La Costituzione ebbe vita breve e l’anno dopo il governo borbonico obbligò che tutti i comuni del regno delle Due Sicilie inviassero petizioni per chiedere l’abolizione delle garanzie costituzionali.  A Città Sant’Angelo la richiesta fu firmata da solo sette cittadini, per contro una petizione popolare che richiedeva la conferma della Costituzione fu sottoscritta da ben duecentocinquanta liberali.
Per costituire il Primo Parlamento Nazionale Città Sant’Angelo elegge (1860) il deputato Francesco De Blasiis che successivamente (1867) assumerà, nel gabinetto Rattazzi, l’incarico di Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio.
Alla volta di Nerola (1867), per ricongiungersi ai garibaldini che vanno alla conquista di Roma, partono Pasquale Baiocchi, Vincenzo Basile, Michele Valloreo, Domenico Ghiotti, Antonio e Filippo Natali, Antonio Cilli e Giandomenico Terenzi. Vengono catturati dalle truppe Pontificie e rinchiusi in Castel Sant’Angelo.
Dall’uva delle nostre vigne si ricava un’autentica raffinatezza: la mostarda angelese che si ottiene sposando sapientemente i frutti maturi di senape e l'uva al mosto che arde (dixerunt mustum ardens hinc mustardum), e che a Bologna - sostengono i nostri storici, con una comunanza di certezze che non lascia spazio al dubbio - ha rallegrato addirittura la mensa del Bonaparte, richiamando l'attenzione e meritando le lodi persino di un simile, notoriamente distratto ed indaffarato, commensale.

Torna ai contenuti | Torna al menu 2015-10-30 11:43:56