Cascata Vitello d'Oro (PE) - Tasting Abruzzo

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Cascata Vitello d'Oro (PE)

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La cascata del Vitello d’Oro si trova nella Val d’Angri a Farindola. Si tuffa nelle acque del fiume Tavo. È alta 28 metri. Il paesaggio circostante è caratterizzato dalla stretta Val d’Agri coperta di bellissimi boschi, dai quali svettano le cime montuose del massiccio meridionale del Gran Sasso.
Il luogo è di notevole importanza naturalistica in quanto vi si trovano l’area faunistica del camoscio d’Abruzzo e quella del geotritone italico, due specie endemiche a rischio. Poco più a valle della cascata comincia il sistema di captazione idrica. Le acque del Tavo finiscono nella rete idrica dei comuni che si trovano lungo il suo corso. Il crescente fabbisogno e l’abbassamento delle falde acquifere dovuto al traforo autostradale del Gran Sasso sono causa di una diminuzione della portata d’acqua del fiume, con conseguente prosciugamento della cascata nei mesi di secca.
La cascata deriva il proprio nome alla leggendaria apparizione di un vitello dal vello dorato a due donne recatesi a lavare i panni al fiume. Un comodo sentiero conduce alle cascate dalla strada. È possibile risalire e discendere le cascate grazie a scale e ponticelli. Il Vitello d’Oro è un luogo perfetto per passeggiate all’aria fresca.
L’ultimo secolo ha visto di molto modificato l’ambiente circostante. L’interesse per l’area cominciò nei primissimi anni del secolo scorso, quando iniziarono i primi lavori di modifica dell’alveo per la captazione di parte delle acque del fiume Tavo che, convogliate tramite un canale ad una condotta forzata, alimentavano più a valle, una centrale idroelettrica. Molto più tardi, e siamo alla fine degli anni ‘60 inizio anni ‘70, l’esigenza di acqua potabile da parte delle popolazioni della costa, portarono alla captazione ed allo sfruttamento di essa, attraverso un complesso sistema di gallerie, con notevole danno per il paesaggio. L’aumento del prelievo di acqua, nel corso degli anni, per il sempre maggiore fabbisogno e l’abbassamento delle falde acquifere dovuto essenzialmente alla contemporanea costruzione dei tunnel autostradali sotto il Gran Sasso, hanno ulteriormente diminuito la portata del fiume ed impoverito il suo corso fino al mare con conseguente distruzione dell’habitat naturale.
La cascata della Vitella d’Oro e le sorgenti del Mortaio d’Angri sono da considerare le più importanti emergenze idriche del comprensorio e contribuiscono, nonostante le numerose captazioni, ad alimentare il fiume Tavo. Lungo il solco del fiume e dei fossi confluenti si affermano le tipiche comunità igrofile caratterizzate da salici e pioppi: salice bianco, salice rosso, pioppo bianco e nero. Il tratto più alto del fiume è popolato dalla trota fario, qui vive e nidifica il raro merlo acquaiolo, indicatore di un ambiente fluviale integro. Intimamente legato ad esso vivono la ballerina bianca e quella gialla, la biscia dal collare, il picchio rosso, mentre cincia e fringuelli popolano la vegetazione arborea ripariale. Nelle pozze laterali al fiume è stato trovato il tritone crestato, la comune rana appenninica e l’ululone dal ventre giallo.
Ubicata nel territorio montuoso del comune di Farindola sul bordo sud-orientale del Gran Sasso d’Italia, dove la catena da un andamento est-ovest assume gradualmente una direzione nord-sud, l’alta valle del Tavo unisce alla bellezza paesaggistica un notevolissimo interesse scientifico. In questa zona affiora una formazione geologica, conosciuta in letteratura come Conglomerati di Rigopiano, costituita da strati e banchi di conglomerati ben cementati con clasti calcarei subarrotondati, immersi in una matrice calcarenitica, e da alcune sottili intercalazioni di argille marnose il cui contenuto microfossilifero (microforaminiferi planctonici tipo Globorotalia margaritae e Globorotalia puncticulata) ha permesso di riferire la formazione al Miocene superiore - Pliocene inferiore, cioè a circa 5 milioni di anni orsono.
I Conglomerati di Rigopiano, facilmente osservabili in prossimità della cascata della Vitella d’Oro e dell’area faunistica, rivestono una notevole importanza scientifica perché testimoniano la presenza di un piccolo bacino marino satellite (rimasto cioè isolato da un bacino marino più ampio) posto sul dorso della catena in via di strutturazione; e soprattutto perché rappresentano la principale chiave di lettura per la ricostruzione della storia orogenetica della catena del Gran Sasso d’Italia, cioè dei vari eventi di compressione, piegamento e sollevamento degli strati rocciosi fino alle quote attuali. Tale formazione, infatti, tettonicamente caratterizzata lungo la valle del Tavo da una piega sinclinalica con andamento assiale parallelo al fronte della catena stessa, giace in discordanza angolare sul substrato carbonatico meso-cenozoico, già ampiamente deformato. Molto evidente è per esempio, nella parte alta della valle, la forte discordanza angolare fra gli strati suborizzontali dei Conglomerati di Rigopiano ed i sottostanti strati subverticali dei calcari cretacei. Questa situazione testimonia inequivocabilmente una prima fase di sollevamento e piegamento dell’area verificatasi prima, della deposizione dei conglomerati, ed essendo questi ultimi a loro volta piegati e fagliati, testimoniano il perdurare delle spinte tettoniche compressive anche successivamente alla loro formazione e consentono di riferire la definitiva strutturazione della catena del Gran Sasso d’Italia al Pliocene medio-superiore, circa 2 milioni di anni orsono.
Il paesaggio geomorfologico dell’area risente della natura litologica delle rocce affioranti e del loro assetto tettonico, e rappresenta il risultato dell’azione demolitrice e modellatrice degli agenti atmosferici, in particolare delle acque del fiume Tavo.
Le sorgenti presenti lungo la valle (sorgente Acquasanta, Mortaio d’Angri, ed altre), alimentate dall’imponente acquifero carsico del massiccio del Gran Sasso d’Italia, danno vita a loro volta al fiume Tavo e, la cascata della Vitella D’Oro, è alimentata dall’omonima sorgente. Purtroppo, gli scavi in sotterraneo eseguiti negli anni ‘70 per la realizzazione del traforo autostradale del Gran Sasso, hanno comportato una notevole riduzione (fino al 50%) delle portate delle sorgenti, determinando nei periodi più siccitosi, la scomparsa della cascata e l’assenza quasi totale di acqua lungo l’alveo del fiume.


Per saperne di più:
FARINDOLA (PESCARA)
Telefono comune 085/823131


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